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Il PNRR: un’opportunità per le pari opportunità
1) La parità di genere in Italia in numeri
L’Italia è oggi al 63° posto al mondo e al 14° posto in Europa per parità di genere, con un punteggio del Gender Equality Index [1] inferiore alla media europea che vede in testa alla classifica Islanda, Finlandia e Norvegia. Nonostante ciò, è riscontrabile un incremento degli indicatori sulla pari opportunità di oltre 10 punti in 7 anni[2].
2) A che punto siamo in tema di parità di genere in Italia
Dai dati riportati nella Strategia Nazionale per la Parità di Genere[3] – elaborata nel luglio 2021 in coerenza con la Strategia del 2020-2025 adottata in tema dalla Commissione Europea – si evince la situazione nazionale sull’uguaglianza uomo-donna sotto molteplici dimensioni, quali il lavoro, il reddito, le competenze, il tempo e il potere.
In termini di partecipazione femminile al mercato del lavoro l’Italia si posiziona all’ultimo posto in Europa, con una differenza di oltre 20 punti percentuali tra il tasso di occupazione femminile e quella maschile. In questa stima il fattore più impattante è la genitorialità: il 38% delle donne modifica la propria situazione lavorativa per esigenze familiari (contro il 12% degli uomini) e il 33% delle donne abbandona il mondo del lavoro dopo il primo figlio, con tassi crescenti all’aumentare del numero di figli.
Si segnala inoltre un divario contributivo (“gender pay gap”) importante tra uomini e donne che nel 2022 risulta intorno al 20-24%[4] nel solo settore privato.
In termini di partecipazione all’istruzione, invece, le donne risultano mediamente più istruite degli uomini (il 59% dei laureati italiani è donna e il voto di laurea femminile è di 2 punti superiore a quello maschile[5]), sebbene nelle discipline scientifico-tecnologiche si registrino dei dati più gratificanti per il genere maschile, dati che risultano ancor più rilevanti considerata l’alta richiesta di tali competenze in ambito lavorativo.
La dimensione del tempo, in particolare quello non remunerato e dedicato alla cura della famiglia e alla casa, continua a penalizzare significativamente le donne: l’Italia è fanalino di coda in Europa con l’81% di donne che vi si dedica tutti i giorni contro il 20% degli uomini (in confronto con il 79%-34% in Europa ed il 74%-56% in Svezia). La donna rimane, a tutta evidenza, la responsabile della gestione della casa e dei figli.
Un dato in positivo per l’Italia è invece la rappresentanza femminile nelle posizioni di potere, dovuto principalmente alla maggior presenza femminile negli organi societari delle società quotate e delle società pubbliche che risulta superiore alla media europea.
3) Il legislatore dalla parte delle donne
Il legislatore è stato negli ultimi anni più attento alle esigenze del mondo femminile, intervenendo nella disparità di trattamento tra uomini e donne, nell’ottica di agevolare il più possibile queste ultime nel perseguimento dei propri obiettivi professionali.
Si pensi, ad esempio, alla Legge Golfo-Mosca[6]. Per effetto dell’applicazione della normativa sulle quote di genere[7], la quota di donne negli organi sociali delle società quotate si avvicina oggi al 40%, quasi quattro volte rispetto a quella registrata prima dell’applicazione della legge (11,6% nel 2012)[8]. Nelle società pubbliche le donne ricoprono un terzo delle cariche (33,1% nel 2020), quasi il doppio rispetto al 2014 (17,5%).
Rimane però molto limitato il numero di donne che ricoprono ruoli di presidente o di amministratore delegato all’interno dei consigli di amministrazione delle società quotate ed è ancora rilevante la disparità nelle aziende non soggette alla legge, soprattutto in confronto ai paesi più avanzati in Europa[9].
Un’ulteriore misura che ha significativamente tenuto in considerazione la parità di genere è il c.d. Family Act[10] entrato in vigore il 12 maggio 2022. Si tratta di una legge delega al Governo per l’adozione di cinque diversi decreti a sostegno della famiglia nel suo complesso: dal sostegno all’educazione dei figli, promozione delle responsabilità genitoriali e riordino dei congedi parentali, al sostegno della parità di genere dei rapporti familiari, incentivando la condivisione della cura e l’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro.
Nonostante l’entrata in vigore, la concreta adozione dei decreti è scandita da termini lunghi che si protraggono fino al 2024, tali per cui sembra ancora lunga la strada per la realizzazione delle cinque deleghe.
4) L’uguaglianza di genere come obiettivo trasversale del PNRR
In questo contesto si inserisce il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che fa della parità di genere l’obiettivo trasversale di tutte e sei le “Missioni” dallo stesso previste. La persistenza di disuguaglianze di genere non è infatti solo un problema individuale, ma è un ostacolo significativo alla crescita economica.
Per questo motivo le riforme e gli investimenti del PNRR condividono priorità trasversali, relative alle pari opportunità generazionali, di genere e territoriali (ci si riferisce in particolare al sud Italia). I progetti sono valutati sulla base dell’impatto che avranno nel recupero del potenziale dei giovani, delle donne e dei territori, e nelle opportunità fornite a tutti, senza alcuna discriminazione.
In particolare, le misure previste dal PNRR in favore della parità di genere intendono promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, aspirando ad intervenire a monte, nelle disparità di trattamento tra uomini e donne, garantendo a quest’ultime di perseguire i propri obiettivi in una prospettiva fondata su equa competizione, responsabilità e riconoscimento
5) Il percorso normativo per giungere alla certificazione per la parità di genere
Uno degli interventi promossi proprio nell’ambito del PNRR riguarda l’introduzione, entro dicembre 2022, della certificazione per la parità di genere. Questo obiettivo è parte della Missione 5 “lnclusione e coesione”. Più
nello specifico è inserita nella Componente 1, Investimento 1.3 (M5C1 – 1.3)[11]. Lo scopo ultimo del progetto, per cui sono stati stanziati 10 milioni di euro, è la definizione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente critiche: opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere, tutela della maternità. Il sistema di certificazione sarà aperto a tutte le imprese indipendentemente dal requisito dimensionale. Nella fase sperimentale – che durerà fino al secondo quadrimestre del 2026 – la certificazione sarà agevolata per le micro, piccole e medie imprese, e accompagnata da servizi di accompagnamento e assistenza[12].
L’introduzione di questo sistema si deve alla L. 162/2021, cui il PNRR si allinea ed in virtù del quale in data 29 aprile 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.P.C.M. n. 152/2022 (il “Decreto”) che definisce i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere – già oggi accessibile a qualsiasi datore di lavoro – , rilasciata da uno degli Organismi di valutazione della conformità (CABs).
6) I benefici conseguibili grazie alla certificazione
Il rilascio della certificazione comporta per l’azienda la possibilità di accedere ai seguenti benefici:
7) I requisiti per il conseguimento della certificazione
Il Decreto si occupa di fissare i parametri minimi di conseguimento della certificazione, come prescritto dal comma 2 dell’articolo 4 della L. 162/2021 e dall’articolo 1 comma 147 della L. 234/2021. La normativa in questione riconosce che i parametri minimi sono quelli di cui alla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, pubblicata il 16 marzo 2022.
La certificazione è rilasciata dagli organismi di valutazione della conformità accreditati in questo ambito ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008.
La prassi individua varie aree di indagine e valutazione, quali le politiche per la gestione della diversità di genere e per l’inclusione; opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda; equità remunerativa per genere; tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.
Ogni area è contraddistinta da un peso espresso in termini percentuali che contribuisce alla misurazione del livello attuale dell’organizzazione d’impresa e rispetto al quale è misurato il miglioramento nel tempo. Per ciascuna area di valutazione sono stati identificati degli specifici KPI (Key Performance Indicators) con i quali misurare il grado di maturità dell’organizzazione attraverso un monitoraggio annuale e una verifica ogni 2 anni, al fine di dare evidenza del miglioramento ottenuto grazie alla varietà degli interventi messi in atto o delle correzioni attivate.
Ogni indicatore è associato a un punteggio il cui raggiungimento o meno viene ponderato per il peso dell’area di valutazione: è previsto il raggiungimento del punteggio minimo di sintesi complessivo del 60% per determinare l’accesso alla certificazione da parte dell’azienda.
Alle rappresentanze sindacali aziendali e alle Consigliere e ai Consiglieri territoriali e regionali di parità viene riconosciuto un ruolo di controllo e verifica sul rispetto dei requisiti necessari al mantenimento dei parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere. Qualora questi rilevassero anomalie o criticità, potranno segnalarle all’Organismo di valutazione della conformità che ha rilasciato la certificazione, previa assegnazione all’impresa di un termine, non superiore a centoventi giorni, per la rimozione delle stesse.
A tal fine, il Decreto introduce, a carico del datore di lavoro che si doti della certificazione di parità, un obbligo di informativa aziendale annuale sulla parità di genere, che rifletta il grado di adeguamento alla prassi.
8) Parità di genere nella pubblica amministrazione
L’art. 47, comma 4, del Decreto Legge 77/2021[15], sulle prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure, e le disposizioni del Bando tipo n. 1/2021[16] prevedono che il concorrente in una gara pubblica si impegni ad assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota di occupazione giovanile e femminile almeno pari al 30%[17].
Con una recente delibera[18], ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) ha confermato la legittimità dell’esclusione di un operatore economico da una gara per l’aggiudicazione di un contratto finanziato con i fondi del PNRR, in quanto non aveva assunto l’obbligo di garantire l’occupazione giovanile e femminile nelle percentuali richieste.
Si guarda altresì con piacere alle iniziative del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri relative alla “fertilizzazione culturale”, ossia programmi mirati a innalzare il livello di consapevolezza della necessità di prevenire le diseguaglianze e la violenza di genere[19], a diffondere la cultura della leadership al femminile ed altresì a contrastare le difficoltà
di accesso delle donne alle carriere nelle materie STEM.
Anche a tal fine il Dipartimento ha emanato delle Linee Guida[20] rivolte a tutte le amministrazioni pubbliche – e in particolare alle figure che al loro interno ricoprono ruoli di vertice – contenenti spunti pratici e indicazioni di metodi e strumenti la cui adozione consenta l’individuazione di misure idonee ad evitare o a compensare svantaggi nelle carriere del genere meno rappresentato.
È interessante notare che le Linee Guida indicano alle amministrazioni la check-list da analizzare al fine di prendere coscienza di quanto viene eventualmente fatto per garantire la parità di genere, nonché le modalità per redigere bandi di selezione per l’accesso alle carriere pubbliche che contengano informazioni relative alle misure che l’ente adotta per favorire l’inclusione delle donne nei ruoli di responsabilità, e che, in generale, non riproducano, anche indirettamente, discriminazioni di genere come, ad esempio, criteri di valutazione delle esperienze professionali che neutralizzino l’effetto negativo di assenza legate alla genitorialità o all’assolvimento di oneri di gestione familiare.
In aggiunta, lo stesso Dipartimento incoraggia forme di lavoro agile e riunioni in videoconferenza per garantire un work life balance, asili all’interno dei luoghi di lavoro, ovvero lo sfruttamento dei congedi parentali anche da parte dei genitori di sesso maschile. Ulteriormente interessante sembra essere la proposta di una “Carta del tempo del lavoro manageriale” che stabilisca buone pratiche di definizione di fasce orarie per fissare le riunioni e l’orario massimo oltre il quale una convocazione è da considerare un’eccezione.
Demandare al Legislatore il compito di creare le condizioni di parità non può che essere funzionale ad una più rapida e diffusa affermazione delle donne in ambito lavorativo. Ben vengano dunque interventi normativi che vadano nella direzione dell’uguaglianza di genere e che supportino il cambiamento valoriale e culturale verso il riconoscimento della parità femminile e maschile.
Ughi e Nunziante
Francesca Ricci, Tiziana Fiorella, Chiara Miccolis, Emanuela Burgio
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