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Per “divario retributivo di genere” (o, in inglese, gender pay gap) si intende la differenza tra i livelli retributivi medi lordi corrisposti da un datore di lavoro ai lavoratori di sesso femminile e a quelli di sesso maschile, espressa in percentuale del livello retributivo medio dei lavoratori di sesso maschile[1]. Abbiamo già avuto l’opportunità di commentare il fenomeno in un articolo del febbraio 2023, ma ora l’approvazione della Direttiva europea 2023/970 e la pubblicazione del report della Banca d’Italia dal titolo “Women, labour markets and economic growth” del giugno 2023 rendono ragione di un (lieto) doveroso aggiornamento.
Come asserito dal considerando numero undici della Direttiva, “è emerso che l’applicazione del principio della parità di retribuzione è ostacolata da una mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi, da una mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore e da ostacoli procedurali incontrati dalle vittime di discriminazione”.
A seguito di una valutazione approfondita del quadro esistente in materia di gender pay gap e di un processo di consultazione, la Commissione, nella sua comunicazione del 5 marzo 2020 “Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025”, ha annunciato che avrebbe proposto misure vincolanti sulla trasparenza retributiva. La revisione del 2020 delle disposizioni della Direttiva 2006/54/CE (la c.d. Direttiva sulle pari opportunità) ha dimostrato che l’attuazione del principio della parità di retribuzione è ostacolata da problemi procedurali per le vittime di tale discriminazione, sistemi retributivi non trasparenti e una mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore. All’esito dell’analisi, difatti, emergeva come i lavoratori non disponessero delle informazioni necessarie per presentare un ricorso con buone possibilità di successo in materia di parità di retribuzione, né di informazioni sui livelli retributivi dei lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o lavori di pari valore. Una maggiore trasparenza consentirebbe di rivelare pregiudizi e discriminazioni di genere nelle strutture retributive di un’organizzazione o di un’impresa.
Le medesime considerazioni ci vengono sollecitate dal Report della Banca d’Italia, per la quale politiche aziendali orientate alla valorizzazione della diversity possono migliorare la progressione di carriera delle donne e portare alla sensibile diminuzione del gender pay gap. Il report approfondisce la letteratura in materia, suffragandola di proprie analisi, con l’obiettivo di identificare le politiche che possano avere un maggior impatto. Da questa analisi, sulla quale si concentra il secondo capitolo del Report, emergono come particolarmente utili, in primis:
Proprio su quest’ultimo punto, diversi studi dimostrano come aumentare la trasparenza relativa ai salari ed alle differenze di genere nelle retribuzioni riduce il gender gap. Questo consente:
Proprio in quest’ottica il 10 maggio 2023 è stata pubblicata la Direttiva europea 2023/970, volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva. Prima direttiva nel suo genere, pur presentando alcune criticità, la Direttiva mira ad introdurre diverse innovazioni negli ordinamenti degli Stati membri:
La Direttiva impone che la retribuzione sia basata su criteri neutrali rispetto al genere, sia nel settore privato che in quello pubblico. Lo European Institute for Gender Equity (EIGE) ha definito, in tal senso, questo provvedimento come la “pietra miliare per la parità di genere”: per la prima volta, la discriminazione intersezionale, ossia fondata su una combinazione di molteplici forme di discriminazione o disuguaglianza, qualora il lavoratore appartenga a uno o più gruppi protetti contro la discriminazione fondata sul sesso, da un lato, l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, dall’altro, è stata inclusa nell’ambito di applicazione delle nuove norme.
I datori di lavoro dovranno obbligatoriamente fornire ai candidati alle posizioni lavorative informazioni sulla retribuzione iniziale dei posti per cui si avvia la selezione, riportando tali informazioni negli avvisi di ricerca del personale o, comunque, comunicandole prima del colloquio di lavoro. Inoltre, i datori di lavoro non potranno chiedere informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o precedenti rapporti di lavoro.
Una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici potranno chiedere ai datori di lavoro informazioni riguardo i livelli retributivi medi, divisi per sesso, delle categorie di lavoro che svolgono la stessa mansione o mansioni di pari valore.
Per le imprese con più di 250 dipendenti sarà obbligatorio effettuare comunicazioni annuali ad appositi organismi di monitoraggio in merito al divario retributivo di genere presente all’interno della propria organizzazione. Per le imprese più piccole (quelle con più di 150 dipendenti), invece, l’obbligo di comunicazione avrà cadenza triennale.
Se dai dati comunicati dovesse emergere un divario retributivo superiore al 5%, le imprese dovranno svolgere una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.
I lavoratori e le lavoratrici che hanno subito una discriminazione retributiva di genere potranno ottenere un risarcimento e il recupero integrale delle retribuzioni arretrate.
Una novità della Direttiva è che spetterà al datore di lavoro dimostrare davanti al giudice di non aver violato le norme relative alla parità e alla trasparenza retributiva.
Nel caso in cui l’impresa dovesse violare tali norme, le sanzioni dovranno essere efficaci e proporzionate. Tali ammende dovranno essere introdotte dai Paesi membri per i datori di lavoro che non rispettano le regole.
La Direttiva 970 troverà applicazione a partire dal 7 giugno 2026 e non è esente da criticità. Nello specifico, in base alle nuove norme, le imprese dell’UE saranno tenute a fornire informazioni sulle retribuzioni e a intervenire unicamente se il divario retributivo di genere supera il 5% e non possa essere motivato sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere. La soglia del 5%, la cui determinazione può apparire arbitraria, lascia fuori dall’ambito di applicazione della Direttiva numerose realtà imprenditoriali.
Secondo il World Economic Forum, a livello mondiale ci vorranno 267,6 anni per raggiungere la parità di genere in termini di partecipazione e opportunità economiche.
Nonostante il dato sconfortante, ci si augura che iniziative come la Direttiva in esame e la Certificazione di genere prevista dal PNRR[2] permettano, almeno in Italia, un’accelerazione verso un futuro più equo e sempre più prossimo.
A questo link, trovate un flyer riassuntivo che delinea i punti principali della Direttiva.